Ci sono persone perseguitate dall’idea che tutto andrà sempre male: per loro esistono solo insufficienza…inettitudine…incapacità. I conti non tornano mai, in quanto il paradigma di calcolo è evidentemente – per noi, ma non per loro – basato su una premessa sbagliata. In realtà sono attanagliati da una sola verità: dalla certezza di non poter contare su se stessi.
Sempre sotto il giudizio del loro “permanente inquisitore interno” che costantemente, come una ghigliottina, amputa loro qualsiasi valutazione positiva, rendendoli colpevoli della propria incapacità.
Le persone che rientrano in questa categoria, si sentono costantemente sbagliate e qualsiasi cosa facciano, anche se positiva, verrà vissuta male. Di fronte a situazioni di successo conclamato, per esempio, anziché esultare, rimproverano se stesse perché avrebbero sempre potuto fare di meglio, o perché il compito era facile e quindi il successo insignificante e scontato. Eternamente insoddisfatti, costoro possono cadere in situazioni di stallo o vivere in maniera sofferta le situazioni che richiedono una scelta. Possono descriversi come coloro che sono sempre stati così, oppure più frequentemente la situazione è il risultato di un insuccesso che li ha bloccati tenendoli in ostaggio. Questi soggetti sono spesso etichettati come depressi, dal momento che vivono la vita con grande sforzo e anche se raggiungono un qualche traguardo, non sono mai soddisfatti. Capita, infatti, che rivolgendosi al medico di famiglia, la persona, lamenti il fatto di sentirsi giù, di alzarsi a fatica …; tutti sintomi, questi, confusi con il corteo della sintomatologia depressiva, per cui spesso vengono prescritti farmaci antidepressivi. L’umore depresso è invece il risultato di una ideazione lineare e soprattutto sicura: non posso fidarmi di me. L’inquisitore (Nardone G., De Santis G. 2011) diventa allora anche “il persecutore certo” di se stessi, quello che conferma che, comunque lei faccia, non sarà mai all’altezza … e gli altri se ne accorgeranno. E’ questo il prodotto degli evitamenti e dei conseguenti insuccessi, che le ricordano che non può più contare su se stessa.
Esempio tipico quello dello studente universitario, che per motivi diversi si blocca e non riesce più a dare gli esami per paura di non essere all’altezza, magari perché c’è stato un imprevisto o più frequentemente un non contemplato insuccesso. La ferita del giudizio negativo ricevuto non cicatrizza e “il non doveva succedere” lascia il posto al pericoloso atteggiamento del rimandare, in attesa di essere sicuri di riuscire. Questo passo potrebbe sembrare un salutare break per recuperare le forze e per lenire la propria autostima ferita. Di solito, invece, chi non accetta la sconfitta della battaglia perde la guerra perché smette di combattere, ormai certo di non avere le armi giuste …. Oppure, un altro tipico tentativo di soluzione fallimentare è quello di controllare se stesso, sottoponendo a monitoraggi continui la propria memoria, spesso identificata come causa. Così i tempi si ampliano a dismisura e le pagine che prima venivano studiate in un’ora poi hanno bisogno di giorni …. Il risultato sarà inevitabilmente la constatazione che la propria memoria non è più quella di prima, la comprensione inesistente e che tutti gli sforzi sono vani ecc… ( Tratto dal libro “ Se sei paranoico non sei mai solo” E. Muriana, T.Verbitz 2017)