La vergogna è un sentimento persistente e doloroso, difficile, ma che tutti abbiamo provato, è anche il sentimento sul quale e attraverso il quale, avviene ogni forma di socializzazione e ogni forma di educazione. Emozione di difficile definizione, perché tante possono essere le declinazioni soggettive: dall’imbarazzo transitorio all’umiliazione più devastante e incancellabile; al turbamento che implica il controllo verso l’esterno per proteggere la propria intimità da un’ intrusione degli Altri, ma anche per celare ciò che non deve trapelare all’esterno; all’onta, disonore, ignominia, macchia, vituperio e infamia.
Interessante come gli antropologi distinguano tra “civiltà di colpa” e “civiltà di vergogna”. Con “civiltà di colpa” ci si riferisce ad una società regolata dalla imposizione di divieti collegati all’intervento divino. Nel senso di colpa c’è una condanna interiore del peccato: una persona può sentirsi in colpa anche se nessuno è al corrente del suo peccato. Il senso di colpa, a differenza della vergogna, non è un giudizio globale che colpisce l’individuo nella sua totalità, ma determinate azioni e comportamenti specifici. Non c’è religione monoteista che non usi il senso di colpa come strumento di controllo sociale. Ma, mentre la colpa può essere espiata, la vergogna no.
La cultura fondata sul senso di vergogna si fonda invece su sanzioni esterne come il discredito e il biasimo. La vergogna presuppone un altro giudicante, reale o immaginario che sia, e l’individuo può essere deriso o respinto o immaginare di esserlo.
Le connotazioni più antiche del concetto di vergogna rimandano a una stretta connessione tra ‘onore’ e ‘vergogna’. In ogni società e in ogni cultura esistono azioni e circostanze che conferiscono e tolgono l’onore, che onorano e disonorano, che arrecano onta e vergogna.
In sostanza una persona per vergognarsi deve avere mostrato se stessa come debole o carente. Se la colpa appartiene all’ordine della trasgressione, la vergogna appartiene all’ordine dello scacco: se la colpa è un trasgredire, la vergogna è un non essere all’altezza, è esporre un difetto del Sé incompatibile con la propria immagine ideale. I contenuti intorno ai quali si agglutina l’esperienza di vergogna sono rappresentati dalla triade “debolezza, difettosità e sporcizia”.
Nell’ambito delle patologie basate sul controllo, il soggetto teme che il proprio corpo lo tradisca mostrando, per esempio, il rossore improvviso del volto. Così la vergogna è legata al terrore che il proprio corpo sveli, contro la propria volontà, ciò che si cerca di nascondere. Qui la vergogna è caratterizzata dalla pregnanza visiva del problema, dallo smascheramento,
Evitamento preventivo fino all’isolamento,per evitare che gli Altri possano trasformare la propria vergogna in onta sociale. Spesso sono persone che non riescono a difendere la propria alta autostima nel confronto con gli altri per il timore di essere smascherati.
E’ la vergogna che muove l’azione di Otello, di re Lear e di Antonio. Shame (vergogna) è il termine che ricorre ben 344 volte nelle opere di Shakespeare a documentare quanto la vergogna faccia parte della trama delle sofferenze umane.
Ma c’è anche la vergogna di chi ha perso il lavoro e insieme ad esso, per le conseguenze, la propria identità fino a sentirsi nulla.
E c’è la vergogna del “giusto” per aver assistito impotente ad orrori diversi dell’umanità. “ La realtà che vediamo in questi giorni in tv supera di molto quella dell’opera. E quei bambini hanno gli occhi aperti: un invito a interrogarsi” dice M.Cattelan (2004) commentando la sua installazione provocatoria a Milano.
Per approfondire:
E. Muriana, T.Verbitz. Se sei paranoico no sei mai solo. Dalla sospettosità al delirio paranoico. Alpes ed. 2017