Pensare di non pensare a qualcosa che ci assilla la mente, ha come effetto quello di pensarci ancora di più.
Cercare di reprimere, cacciare dalla mente pensieri intrusivi, immagini inopportune, le fantasie sgradevoli, la paura di mettere in atto comportamenti impulsivi, ecc…
Sono tutti atti mentali che hanno in comune il verbo “devo” non pensare.
Ma la grammatica ci insegna che pensare è un verbo intransitivo, è come dimenticare, si dimentica spontaneamente.. devo dimenticare ha come effetto un paradosso logico, quello di mantenere vivo nella memoria ciò che voglio dimenticare. Questa lotta interiore porta ad un inevitabile sfinimento poiché è un compito impossibile.
Alcuni studi hanno stimato che 80-90% delle persone ha saltuariamente pensieri intrusivi, del tutto simili alle ossessioni patologiche ( Clark, 2005). I pensieri intenzionali sono quelli legati ad uno scopo ( vado a lavoro, mi lavo i denti ecc..) mentre i pensieri involontari, cioè non intenzionali si stima che capitino alle persone circa 500 volte in un giorno e sono frutto di una miriade di attività cognitive: distrazioni, preoccupazioni, ruminazioni, ascolto del proprio corpo, sognare ad occhi aperti, pensieri ossessivi specifici.
Dei 500 pensieri invasori il 30% è dato da pensieri considerati fastidiosi. Tra questi, il 18% vengono percepiti come inaccettabili, politicamente scorretti o disagevoli ( vorrei vedere soffrire la mia ex, non sopporterei un familiare disabile ecc..). Mentre il 13% dei rimanenti ha un contenuto decisamente shoccante, con temi di morte o perversione ( potrei fare del male ad un familiare, potrei essere pedofilo e non saperlo, potrei essere attratto dalla finestra e cadere..). Non saprei se questi studi quantitativi possano essere attendibili o no ma certo concordano con tutti gli studi qualitativi: chiunque può avere immagini o pensieri sgradevoli a contenuto tabù.
Questi pensieri fanno parte della nostra normalità psicologica (A. Bartoletti 2019).
Potrei essere colto da raptus e fare del male? Questo è uno dei dubbi che si pone chi è ormai ossessionato dai pensieri.
In realtà il raptus non esiste. Lo sanno bene i criminologi, i penalisti e gli psichiatri.
La possibilità che le immaginazioni si traducano in atti è molto alimentata dal sensazionalismo giornalistico. Invece i raptus sono sempre l’ultimo anello di un’escalation di rabbia covata, di una premeditazione, di dolore culminato in disperazione oppure di un disturbo psichico che non era stato identificato (Simon 2013).
Chi soffre di ossessioni mentali non è impulsivo. L’impulsivo è chi non ha il controllo delle proprie emozioni e delle proprie azioni (rabbia-aggressività) e corrisponde a caratteristiche cliniche ben precise.
Chi soffre di ossessioni mentali è quasi sempre compulsivo, cioè l’opposto dell’impulsivo.
L’idea di avere pensieri immorali e la paura di commettere azioni disdicevoli crea un senso di colpa anticipatorio: da qui la lotta contro l’impulso del pensiero ossessivo.
La compulsività consiste proprio nel percepire qualcosa che non si vorrebbe.
Il paradosso è che nasce non dalla perdita di controllo, ma al contrario, dal tentativo estremo di assumere il controllo dei propri pensieri, immagini intrusivi e sgradevoli.
E’ un problema, creato, mantenuto e amplificato dall’ eccesso di controllo inefficace. Così la soluzione- lottare di controllare il pensiero- diventa il problema (P. Watzlawick 1974)
E arrivati qui siamo già in uno stato di notevole sofferenza perché il controllo fallimentare dei pensieri intrusivi limita la quotidianità, crea disturbi d’ansia e panico, spesso associati a disturbi del sonno, della concentrazione e della memoria. Diabolici dispositivi mentali possono essere disinnescati con specifici protocolli di trattamento psicoterapeutici che hanno un’efficacia evidence based del 86%.