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Disprezzare: la pratica altezzosa del moralista

disprezzare la pratica altezzosa del moralista

“Il sentimento che prova un uomo prudente nei confronti di un nemico in posizione troppo temibile per poter essere attaccato direttamente senza pericolo.”(A. Bierce, Dizionario del diavolo, 1911).

Questo vecchio dizionario mette in luce come questo sentimento contenga in sé contemporaneamente due componenti : attacco e difesa.  Disprezzare è una pratica altezzosa  di comunicazione fin troppo diffusa anche  in questo periodo che cela un fondo di viltà per la consapevolezza dell’impotenza nei confronti del denigrato. Disprezzare è un sentimento intenso,   espresso con una maschera di  freddezza  che nasconde rabbia e disgusto: emozioni che vengono definite la “triade delle ostilità”. Chi disprezza per abitudine è un moralista che ritiene di avere condotte oneste, corrette e che lega la propria coscienza alla legge.

E’ spesso intransigente con se stesso ma soprattutto con gli altri e con il mondo. Tutto ciò che non è in linea con il proprio pensiero morale è oggetto di giudizio ovviamente negativo, poiché il parametro della giustizia morale è se stesso! Così mantiene una posizione di autoreferenziata superiorità.  Più la persona si considera superiore, più percepirà gli altri come inferiori e probabilmente li disprezzerà.

Il moralista vive la fantasia della relazione esclusiva  con l’alleato-potente che lo gratifica, nei confronti del quale mantiene una disponibilità certa. Così vive la subalternità come una gratificazione! Per questo possono essere facilmente  strumentalizzati da “organizzazioni- contro” che li arruolano per infoltire le fila,  dando loro in cambio l’altoparlante per il  risentimento. Di fronte allo sdegno, che  prova facilmente e intensamente, il moralista, non potendo ottenere giustizia ( la sua!), vive in un costante stato di rabbia e frustrazione, consapevole dei propri limiti operativi. Il disprezzo viene allora espresso con sarcasmo,  biasimo, risentimento e pensieri aggressivi sono saturi di squalifica degli altri. Gli studi ci dicono che il disprezzare è correlato con personalità egocentriche e narcisiste. Al contrario le persone più empatiche tendono alla comprensione e all’evitamento del giudizio.

Il tratto- talvolta patologico- del moralista sta proprio nel non mettere in dubbio le proprie convinzioni, in virtù del fatto che partono da presupposti ineccepibili che tutti dovrebbero avere per un mondo migliore (il suo!).

E’ l’ortodossia di se stessi e delle proprie convinzioni. A livello sociale lo stesso meccanismo lo troviamo espresso, ad intensità variabile,  nei rapporti di lavoro, familiari o verso altri gruppi che vengono considerati estranei o inferiori al nostro. “ I nostri rancori derivano dal fatto che non sono stati in grado di raggiungere la meta. Questo non lo perdoniamo mai agli altri” dice  Emile Cioran. 

La frustrazione che deriva dal non poter raggiungere i propri obiettivi. Se il disprezzare è  sufficiente per liberarsi dalla tossicità dei pensieri negativi, permette di mantenere un equilibrio insano ma possibile. Se il disprezzare invece diventa la voce della condizione di vittima impotente che combatte solo con il pensiero, le emozioni dell’ostilità soffocheranno la vita quotidiana.

In ambedue i casi non sono persone desiderate o gradite proprio la loro costanza nel nebulizzare sarcasmo acido, incapaci di godere dei successi propri e degli altri. Sopportabili solo a piccole dosi, possono essere molto dannosi con le persone fragili con cui sono prossimi come figli, mogli, bambini e ragazzi se sono insegnanti ad esempio. Si perché la loro schietta apparente superiorità viene espressa solo con i deboli.. La psicoterapia potrà fornire strumenti efficaci per la gestione di emozioni e sentimenti disfunzionali per la persona, quando ormai sono incapaci di controllarli.